IL PECCATO DI DAVIDE




Il peccato di Davide
Dal cap. 8 al cap. 12. Una serie di pagine che ci danno una immagine dell’espansione del regno. Davide è combattente, ha organizzato, riprendendo tra l’altro le istruzioni a lui lasciate da Saul, un esercito. Collaborano con lui alcuni suoi parenti stretti. Anche questa è una prerogativa dell’istituzione monarchica. Esiste un esercito dal tempo da cui esiste un re in Israele, precedentemente non esisteva. E’ in corso la guerra contro gli ammoniti, popolazione che sta ad oriente del Giordano, guerra che si tradurrà ancora una volta in una vittoria, assai significativa a vantaggio di Davide e dei suoi.
Queste pagine ci consentono ancora una volta, di ammirare e celebrare la abilità politica e militare di Davide, che ingrandisce il regno, che coinvolge le popolazioni confinanti nella obbedienza alla sua politica di governo.
Nel contesto di queste pagine, capp. 11-12, il racconto del peccato di Davide.
Davide è ormai avanti negli anni, tant’è vero che non va più al fronte, non guida più lui l’esercito, rimane a Gerusalemme, la capitale e di là muove le leve del potere. Davide anziano, in un momento di grigiore, per quel che riusciamo a decifrare, anche se l’apparenza esterna è proprio quella che serve a caratterizzare l’uomo di successo, l’uomo arrivato, l’uomo che è ormai collocato in una posizione pubblica incrollabile. C’è di mezzo una donna, Davide trova la maniera per far si che muoia in battaglia il marito di quella donna di cui si è invaghito. Nel frattempo quella donna è incinta e nascerà un figlio. Essa sarà chiamata a corte dopo la morte del marito e diventerà moglie di Davide, nasce un figlio che muore.
Il profeta Natan viene mandato dal Signore per affrontare Davide. La situazione in sé è squallida, ma qui non è la sconcezza di un comportamento immorale, nel senso più banale del termine, che viene rilevato, qui è in questione la regalità di Davide, il suo modo di governare, la sua posizione di potere, la dimensione sacramentale della sua regalità. E tutto coincide con la sua paternità. Il figlio, nato da Davide, muore. Vorrei che fosse chiaro: non è un episodio che possiamo interpretarecome un problema di coscienza (Dio interviene per punire in modo smisurato per un verso, fiscale per un altro verso). Qui è in questione la regalità di Davide, e il figlio di Davide, in quanto generato da lui, è un figlio che muore.
Siamo perfettamente in linea con quanto, attraverso il profeta, il Signore aveva fatto presente a Davide: guarda che le cose non stanno come tu sei convinto, le cose non stanno così, non è vero che tu hai una famiglia solida, stabile, ormai un edificio, ormai una relazione con i tuoi parenti, una moltitudine di figli che danno solidità al tuo trono. Non è vero: tuo figlio muore.
Nel frattempo nasce un altro figlio da quella stessa donna e quest’altro figlio si chiama Iedidià (2Sam 12,25) che significa: amato dal Signore. Quest’altro figlio sarà soprannominato Salomone, il pacifico (2Sam 12,24-25). Sarà proprio questo Iedidià, detto Salomone, l’erede.
Ma adesso di questo figlio non si parla, questo figlio viene accantonato, anche perché è giovanissimo, appena nato. Davide ha figli adulti. In ben altra direzione va lo sguardo di coloro che attendono la designazione dell’erede. Di Salomone non si parlerà per un pezzo. Riemergerà la figura di questo personaggio molto più avanti.
Intanto l’alternativa è posta: non è il figlio nato da te, ma è il figlio che ti do io secondo la mia promessa. Non è il figlio generato da te, quello muore. Ma il figlio che viene suscitato nella tua discendenza come espressione della mia promessa che si compie. E’ l’amato del Signore, sarà Salomone il pacifico colui che costruirà il tempio.
E non dimenticate mai: tutto quello che riguarda il riconoscimento dell’erede, l’identificazione del figlio, e dunque esprime la paternità di Davide, ci aiuta a discernere il valore della sua regalità. Non il figlio che hai generato tu, ma quell’altro che ti viene donato in obbedienza alla mia promessa.
Tu non sei re per come hai esercitato il potere. Hai potuto fare quello che ti è piaciuto di quella donna e del marito di quella donna, hai interferito con la vita privata dei tuoi sudditi, hai strumentalizzato la loro obbedienza allo scopo di affermare la tua sovranità assoluta; ebbene: non è questo che fa di te un re, non è questo che fa di te un padre, non è in questo modo che tu eserciti il potere regale, per il quale pure io ti ho chiamato. Le cose vanno in un altro modo. La situazione tende a diventare sempre più drammatica, sempre più sconvolgente.